D. (L'iniziale del mio nome)

Desideria Mini



“Pro Choice, Pro Science”

Io parlo al Consiglio Generale ALC, Roma, 12 giugno 2018 Fine vita: Io parlo al telefono a Radio Radicale al gazebo, piazza Cesare Beccaria a Firenze, 21 aprile 2018


Pagina Facebook Profilo Twitter Profilo Instagram Canale YouTube

2018 © Desideria Mini

Pagina Facebook Profilo Twitter Profilo Instagram Canale YouTube Contatti

Cookie policy - Privacy policy

Sitemap del sito

Tematiche di fine vita tra aiuto al suicidio ed omicidio del consenziente

Eutanasia


Chi si dichiara contrario all'eutanasia e al suicidio assistito afferma che la vita umana deve sempre essere difesa e che è sempre sbagliato uccidere gli esseri umani. Per controbattere a una tale impostazione devo prima dare una ragione del perché il linea generale è sbagliato togliere la vita alle persone e, successivamente, sia tentare di definire la vita delle persone sia dimostrare che esistono casi particolari in cui invece è giusto agire in modo da provocare la morte di una persona.

Togliere la vita ad una persona è in generale sbagliato perché quasi sempre la si priva irreversibilmente di qualcosa a cui ella stessa dà un valore immenso. Ognuno di noi in genere dà un'importanza alla propria vita per motivi spesso diversi e più disparati ma comunque un'importanza molto elevata. Naturalmente esiste una minoranza di persone che non dà valore alla propria vita perché non riesce a trovare qualcosa di importante per cui valga la pena di viverla. Generalmente queste persone vorrebbero morire e se e quando possono tentano il suicidio. Ciò non basta a rendere sempre giusto assecondarle perché spesso si tratta di casi in cui costoro hanno dei problemi risolvibili e se aiutati a superarli possono tornare ad apprezzare la loro vita. In genere, infatti, si tratta di problemi economici, di solitudine o di un periodo di depressione. Tuttavia esistono dei casi in cui la vita di una persona si trasforma in un vero incubo non superabile che procura solo atroci sofferenze. È questo il caso di patologie o handicap gravissimi ed incurabili. Spesso tali condizioni portano le persone a non dare più valore a ciò che rimane della loro vita e a desiderare la morte. In tal caso è giusto o no assecondarle?

Secondo il Codice Penale italiano la risposta è no.

L'articolo 579 e l'articolo 580 del Codice Penale italiano infatti recitano:

"579 Omicidio del consenziente.

Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni. Non si applicano le aggravanti indicate nell'articolo 61.

Si applicano le disposizioni relative all'omicidio se il fatto è commesso:

1. contro una persona minore degli anni diciotto;

2. contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un'altra infermità o per l'abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti;

3. contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno."

"580 Istigazione o aiuto al suicidio.

Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima.

Le pene sono aumentate se la persona istigata o eccitata o aiutata si trova in una delle condizioni indicate nei numeri 1) e 2) dell'articolo precedente. Nondimeno, se la persona suddetta è minore degli anni quattordici o comunque è priva della capacità di intendere e di volere, si applicano le disposizioni relative all'omicidio."

Non concordo affatto con l'assolutezza di tali articoli.

Sono una biologa. Poiché ho studiato biologia e non giurisprudenza non farò valutazioni giuridiche né entrerò in tecnicismi giuridici ma mi permetterò di fare alcune osservazioni bioetiche.

Il bene tutelato dagli articoli 579 e 780 del Codice Penale italiano è la vita della persona umana. Un bene personale che appartiene solo alla persona stessa e di cui solo lei può e deve decidere e disporre in piena consapevolezza ed autonomia. Questo non significa che dobbiamo indiscriminatamente permettere a tutti di morire ma, dopo una prima e indubbia fase di forte dissuasione bisogna anche saper ascoltare le ragioni di una tale intenzione. Occorre infatti anche capire di quale vita stiamo parlando. Della vita biologica, intesa come il metabolismo e la divisione delle cellule del corpo umano o la vita esistenziale di una persona, intesa come relazione e interazione dell'individuo con il mondo che lo circonda e fatta di azioni e sensazioni? La vita reale di una persona è molto di più della sua vita biologica e deve essere intesa come la sua vita esistenziale. La legge dovrebbe proteggere una persona difendendo prima di tutto la sua vita esistenziale e poi, se lo desidera, anche quella biologica, ma non quest'ultima contro la volontà dell'individuo e ad ogni costo.

Certo, si potrebbe obiettare che non si può aver vita esistenziale senza quella biologica ma, purtroppo, a una persona può capitare che, in seguito ad un incidente o a una grave malattia incurabile, perda irreversibilmente la prima e le rimanga solo la seconda. In queste circostanze si hanno due tipi di persone: quelle che vogliono continuare a vivere e quelle che vogliono morire. Alle prime è giustamente riconosciuta e deve essere sempre garantita la possibilità di vivere ma alle seconde non è data la possibilità di morire, o almeno non in modo rapido ed indolore come vorrebbero. Questo perché la legge italiana punisce, peraltro severamente, chi aiuta un'altra persona a morire, anche nelle suddette drammatiche circostanze.

Io amo la mia libertà e la mia vita esistenziale e voglio viverla pienamente fino in fondo. Io ho paura della morte ma se mi trovassi priva della mia vita esistenziale preferirei di gran lunga morire. Reclamo questa mia possibilità di scegliere, questo mio diritto di scegliere e se, in tali circostanze, qualcuno mi aiutasse a morire o mi procurasse la morte costui non dovrebbe essere punito. Ciò perché, non essendo io stata danneggiata in alcun modo da tale azione, non sarei una vittima. E in assenza di una vittima non ha senso definire un reato. Naturalmente, allo stesso modo con cui chiedo di essere libera di scegliere, mi sembra giusto che questa stessa libertà debba essere riconosciuta anche agli altri miei simili. Riconoscere legalmente questa possibilità non lederebbe in alcun modo chi vuole continuare a vivere. In uno caso o nell'altro ogni scelta è solo personale perché si basa sempre su valutazioni puramente soggettive. La vita di una persona è un bene preziosissimo ma è un bene personale e quindi su di essa deve poter decidere e disporre solo la persona stessa. Perciò sì al diritto alla vita ma no al dovere alla vita.

Anche per quanto riguarda la dignità della vita è puramente soggettivo stabilirne termini e limiti e valgono considerazioni analoghe a quelle che svolte fin qui.

Queste mie profonde convinzioni vengono da lontano. Ho sempre pensato fin da giovanissima che ognuno dovesse decidere della propria vita e che uccidere era sbagliato perché si fa un torto alla persona stessa in quanto questa, invece, vorrebbe continuare a vivere ma soltanto e semplicemente per questo motivo.

Quando ero piccola seguendo il telegiornale ascoltai insieme ai miei genitori la notizia di una donna rimasta irreversibilmente priva di coscienza in seguito ad un incidente stradale ed tenuta in vita solo dalle macchine. Il padre aveva chiesto di staccarle perché la donna prima dell'incidente aveva detto che in tale situazione non avrebbe mai voluto continuare a vivere. Nonostante ciò il padre aveva ricevuto un diniego. Molto probabilmente si trattava dell'inizio del caso di Eluana Englaro. Io non riuscivo a capire dove fosse il problema: perché non staccavano le macchine? Anzi a parer mio per farla morire prima sarebbe stato ancora più semplice somministrarle un “veleno”. Perché non lo facevano? Per capire chiesi a mio padre che mi rispose che tutto ciò non si poteva fare nonostante la volontà della donna: era vietato. Di una tale cosa rimasi molto sconvolta ed arrabbiata perché significava che la legge non riconosceva la mia idea naturale e spontanea che una persona  deve poter decidere della propria vita.

Tornando al suicidio assistito e all'eutanasia deve comunque essere chiaro che per applicarli dovrebbe sempre esserci la volontà certa, consapevole e autonoma della persona. “Certa” significa che deve sempre trattarsi di una richiesta espressa in piena lucidità. “Autonoma” significa che deve essere la persona stessa a richiederli in modo spontaneo e non indotto da altri. Il soggetto cioè non deve essere stato spinto od influenzato in alcun modo da nessuno altrimenti si sarebbe difronte ad un'istigazione al suicidio.  In tal caso aiutare a morire o indurre la morte potrebbe non essere più nell'interesse del soggetto richiedente in quanto potrebbe non essere la sua reale volontà. In questo senso il solo reato di istigazione al suicidio è giusto. “Consapevole” significa che la persona si rende veramente conto di cosa è la morte.  Una situazione in cui la volontà può essere non consapevole e\o non autonoma è quella dei minori molto giovani. Il suicidio assistito e l'eutanasia non dovrebbero essere applicati al di sotto di una certa età perché, appunto, il bambino generalmente non è in grado di esprimere una volontà consapevole e autonoma. Piuttosto nei bambini, di fronte a patologie o handicap gravissimi ed incurabili, bisogna limitarsi a interrompere oppure proseguire le terapie mediche vitali secondo la volontà dell'adolescente. Infine, di fronte ad infanti, che evidentemente non possono comunicarci nessuna volontà, nel caso di analoghe diagnosi cliniche che per di più causano solo sofferenze bisogna limitarsi ad interrompere eventuali terapie spropositate ed inutili che prolungano solo la sofferenza evitando cioè il cosiddetto accanimento terapeutico.

Ma quale deve essere il limite di età? Un possibile esempio è fornito dalla legislazione dei Paesi Bassi dove l'eutanasia non è ammessa al di sotto dei 12 anni di età mentre è consentita solo con il consenso dei tutori nei ragazzi dai 12 ai 15 anni compresi mentre a partire dai 16 anni non occorre il loro consenso.

Il 14 Febbraio 2018 la Corte d'Assise di Milano ha adito la Corte Costituzionale a decidere la costituzionalità dell'articolo 580 del Codice Penale nella parte in cui incrimina le condotte di aiuto al suicidio a prescindere dal loro contributo alla determinazione o al rafforzamento del proposito suicidario, relativamente a diversi articoli e commi della Costituzione che individuano la ragionevolezza della sanzione penale in funzione dell'offensività della condotta accertata.

Ciò perché la Corte d'Assise di Milano, chiamata a pronunciarsi sul processo a Marco Cappato per l'aiuto al suicidio di Fabiano Antoniani, detto Fabo, ha ritenuto che, in forza di principi dettati sia da alcuni articoli e commi della Costituzione sia dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, che essendo un obbligo internazionale costituisce per l'Italia anche un vincolo costituzionale, debba ritenersi che all'individuo sia riconosciuta la libertà di decidere quando e come morire e di conseguenza solo le azioni che pregiudichino la libertà della sua decisione possano costituire offesa al bene tutelato dalla norma in esame.

Fabiano in seguito ad un incidente d'auto era rimasto tetraplegico, cieco e soggetto a crisi respiratorie e spasmi violenti e molto dolorosi. Antoniani con l'assistenza materiale, psicologica e relazionale mai mancata dei suoi cari aveva tentato di tutto per vincere la condizione in cui si trovava ma, constatata l'irreversibilità di questa, aveva preso la decisione irremovibile di morire.  

Marco Cappato, su richiesta reiterata dello stesso Fabiano, lo ha accompagnato con un pulmino in Svizzera dove il suicidio assistito è consentito dalla legge e dove ha avuto luogo in una clinica della Dignitas a Pfäffikon, città nel Cantone di Zurigo.     

A seguito della richiesta della Corte di Assise di Milano la Corte Costituzionale il 24 ottobre 2018 ha ritenuto di dover emettere un'ordinanza con la quale richiama il legislatore italiano a varare entro 11 mesi una legge che, detta in modo sintetico, consenta e regolamenti il suicidio assistito in Italia. Ciò perché la nostra Costituzione e la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, costituzionalmente vincolante per l'Italia, mettono al centro il primato della persona umana e la difesa della sua libertà. Per le valutazioni bioetiche espresse nella prima parte di questo scritto, come persona e come cittadina italiana, sono stata contenta di tale ordinanza. Riprendendo quanto spiegato dall'Avvocato Filomena Gallo, Segretario dell'ALC, nonché membro del collegio di difesa di Marco Cappato, si tratta di un caso di incostituzionalità (parziale) accertata ma non dichiarata (dell'articolo 580 del Codice Penale nella parte suddetta) per dare tempo al Parlamento di intervenire con una legge entro un certo tempo ben preciso. Leggendo le motivazioni dell'ordinanza si capisce che la Corte Costituzionale, sia pur con molte cautele, ha dato ragione alla Corte d'Assise di Milano.

Adesso la speranza è che il Parlamento Italiano, preferibilmente il prima possibile, possa modificare in senso liberale gli articoli 579 e 580 del Codice Penale e varare una legge che regolamenti l'eutanasia e il suicidio assistito in modo simile a come è regolata nei Paesi Bassi. Proprio per quanto riguarda una decisione del Parlamento occorre ricordare che la base del Movimento 5 Stelle, il partito con più seggi nell'attuale parlamento e che è anche componente dell'attuale maggioranza parlamentare, il 16 settembre 2016 sulla piattaforma online Rousseaux del partito votò a favore dell'eutanasia con una percentuale maggiore del 90,63 %.